Inizi anni Ottanta, Scauri: La Darsena, lo Scoglio ed il Lido Aurora; uno dei giornalisti che stimo maggiormente e che per me è un “poeta” del pallone, tale Michele Plastino, portava Bruno Giordano e Lionello Manfredonia in quell’angolo meraviglioso a due passi da Roma e ad uno da Napoli. È lì che, intrepido ragazzino e tifosissimo bianconero, innamorato di Franco Causio, sgranavo gli occhi alla vista del bomber laziale – che palleggiava e giocava sulla sabbia scaurese e nel “mio” mare – considerandolo straordinariamente forte pur se non potevo, come non posso neanche ora … per ragioni di fede calcistica, considerarlo più forte di “Penna Bianca” Roberto Bettega. La sera poi, sul lungomare, era armato di un sorriso accattivante, a quel tempo stravagante nell’abbigliamento, con pantaloni che finivano “a campana” e camicie in tinta, allegro e spensierato. Giordano rappresenta non solo per me ma per tutti gli amanti di quello che fu il pallone ed oggi è solamente … il calcio, uno degli interpreti in assoluto più forti nel palcoscenico mondiale. A confermare pienamente questa tesi anche il pensiero di un argentino, non tanto alto, riccioluto, che si chiamava Diego e che lo considerava il calciatore italiano più forte con il quale avesse mai giocato. Una vita, quella del “bomber”, a volte difficile per essersi imbattuto in strade dissestate e tortuose ma dalle quali ha sempre saputo uscire con la purezza che gli si legge negli occhi, con la forza del carattere e con quell’immenso talento che lo ha accompagnato per tutta la carriera.
Infanzia trascorsa a giocare a pallone nelle stradine di Trastevere e all’Oratorio: quando hai capito che il calcio sarebbe stato la tua strada nella vita?
L’ho capito tardi perché all’inizio quando giocavo in Parrocchia oppure per le vie o a Piazza Santa Maria in Trastevere, giocavo per divertirmi con i miei amici, giocavamo tutto il giorno, non avevo idea di diventare professionista, mi piaceva giocare anche quando all’inizio da piccolo sono andato alla Lazio e andavo lì, giocavo, facevo l’allenamento e poi tornavo a Trastevere e continuavo a giocare. Non avevo idea che dovessi fare il calciatore, forse l’ho capito quando ho cominciato nella “Primavera” e qualche volta venivo chiamato dalla “Prima squadra” il giovedì o il venerdì a fare le partite con loro; lì ho capito che cosa volesse dire essere un calciatore di Serie A e allora lì mi sono buttato in tutto e per tutto.
Nel 1969, a tredici anni, vieni acquistato dalla Lazio per centomila lire e una sacca di palloni. Un ricordo di quel periodo?
Sì, e le magliette che andarono al nostro prete, Don Francesco Pizzi che mi regalò venticinquemila lire che portai ai miei genitori; per me era talmente strano che mi davano anche i soldi, però li portai subito a casa a loro.
Nella Lazio fai tutta la trafila nelle giovanili: nel 1974 vinci lo Scudetto con la Primavera, quando già ti allenavi con i “grandi” (e un po’ “pazzi”, diciamolo sottovoce altrimenti Gigi Martini che è qui con noi potrebbe offendersi) che a loro volta vinsero uno storico scudetto.
Ma erano pazzi per davvero ahahah. In quegli anni vinsi anche il titolo Under 23 che era il campionato De Martino, il campionato riserve per intenderci che si giocava il giovedì ed era un campionato “tosto”. Le squadre di serie A facevano giocare le riserve con i ragazzi più bravi della squadra Primavera; era un campionato importante e noi vincemmo anche il titolo italiano a Terni in finale contro la Fiorentina che aveva in squadra Giancarlo Antognoni. Sicuramente era un campionato più competitivo dell’attuale Conference League ahahah. Poi abbiamo vinto anche con gli “Allievi” tanti tornei, eravamo un gruppo di giovani veramente molto forti in quegli anni.
Nella stagione 1975/1976 il salto in prima squadra: mi racconti il tuo esordio in Serie A con tanto di goal alla Samp, da ieri purtroppo in serie C?
Sì, da ieri in serie C, mi dispiace tanto, tantissimo. Il mio esordio è ovviamente un ricordo indelebile, era il 5 ottobre del 1975, la prima giornata a Genova contro la Samp e al novantesimo minuto il mio goal mio su un tiro di Chinaglia ribattuto ed io che tiro e segno. Vincere 1-0 con un tuo goal per un ragazzino esordiente è qualcosa di incredibile e che ancora anche a distanza di cinquant’anni ricordo con gioia ed infatti hai visto, Ercole, che ti ho detto subito la data che è indelebile come un’altra data, quella del 10 maggio 1987 quando vinsi lo scudetto con il Napoli. (ndr occhi lucidi di Bruno)
La tua prima stagione fu segnata anche dal ritorno in panchina di Maestrelli, purtroppo già malato, che guidò la Lazio alla salvezza. Un tuo ricordo del “Maestro”?
Un allenatore sottovalutato sotto l’aspetto tecnico-tattico, perché si parla sempre del “Maestro” come il Maestro di vita invece era tale anche nel calcio perché la Lazio dello scudetto, di Chinaglia e compagni era una Lazio straordinaria anche nel gioco e questo testimonia che lui era anche una persona che ti entrava nella testa nei modi giusti e non trattava tutti allo stesso modo perché riusciva a capire che ognuno aveva una personalità e un modo di vivere e quindi sotto quell’aspetto è stato ancora più bravo, però vorrei rimarcare il fatto che lui era bravissimo anche sotto l’aspetto tecnico e tattico e non esclusivamente umano.
Quell’anno in Coppa UEFA giochi al Camp Nou contro il tuo idolo John Cruyff, ma è vera la storia che lo imitavi in tutto, anche nel taglio dei capelli?
È vero, è verissimo, perché avevo questo mito sin da piccolo e mi ricordo che cercavo di imitarlo anche nel modo di giocare e poi ricordo che andavo con la fotografia di Cruyff dal mio barbiere e mi tagliavo i capelli come lui ed ero tutto contento e quel giorno quando ci ho giocato contro e me lo sono visto davanti per me è stato raggiungere veramente il mio sogno. Di quella partita conservo anche una foto che mi firmò a distanza di anni tramite Antognoni, che ringrazierò per sempre per aver avuto questo pensiero e per avermi un giorno telefonato e passato al telefono Cruyff. Anche quella telefonata rimane tra i ricordi indelebili della mia vita.
La stagione successiva erediti la maglia numero nove di Giorgio Chinaglia. Descrivimi l’emozione di un ventenne che si trova ad indossare una maglia così prestigiosa e “pesante” e a sostituire nel cuore dei tifosi laziali un idolo come Giorgione?
Non era pesante perché c’era l’incoscienza proprio dell’essere giovane, perché se avessi un po’ ragionato non l’avrei messa; tutto nasce quando Giorgio va via, mancavano quattro partite alla fine e all’epoca si usavano invece dei nomi sulle magliette i numeri ad identificare subito il calciatore; ti spiego, c’era il quattro che era di Wilson, l’otto che era di Re Cecconi, il tre di Martini e via dicendo ed erano rimaste sul tavolo dello spogliatoio due magliette, la dieci e la nove; io avrei voluto prendere la dieci perché non mi sentivo un nove o, almeno, non lo ero fino a quel giorno perché ritenevo di essere più un giocatore più di fantasia, di estro e che faceva assist anche se i gol li facevo eh ma alla fine si avvicinò a quel tavolo Vincenzo che prese ovviamente la dieci e allora restò per me solo la nove. A ripensarci oggi fu proprio l’incoscienza del ragazzino a farmi indossare con una certa spavalderia quella maglietta perché mettere a diciannove anni la maglietta di Chinaglia sulle spalle in una situazione poi drammatica perché stavamo retrocedendo fa venire i brividi solo a pensarci. Comunque, alla fine la nove mi ha portato bene dai e poi ci salvammo all’ultima giornata pareggiando due a due contro il Como con un mio goal.
Quella fu anche la stagione del derby del 28 novembre 1976 in cui segnasti uno dei gol più belli della tua carriera e da una posizione quasi impossibile. Quel goal è rimasto nella memoria di tutti i tifosi della Lazio.
Eh sì, anche lì insomma ci fu quel pizzico di incoscienza perché la cosa più logica sarebbe stata crossare per Garlaschelli invece del “sano” egoismo e l’incoscienza dell’attaccante mi portarono a fare quell’incredibile tiro e a segnare proprio sotto la curva Nord quel bellissimo goal che a distanza di tanti anni porto nel cuore come lo portano anche tanti tifosi della Lazio.
Possiamo dire che, se avessi avuto la maglia numero dieci avresti crossato per Garlaschelli e con il nove sulle spalle hai invece tirato?
Ahahah sì, sì, giusta considerazione, ci può stare questo è vero, ci fosse stato Chinaglia con il nove avrei crossato per lui ma l’istinto mi portò a fare quello che feci.
Campionato 1977/1978: una doppietta anche alla Juventus con due gol da cineteca, quali scegli dei due?
Sicuramente il secondo ma lo scelgo non in quella partita ma proprio come il mio goal più bello in assoluto perché quello è un goal che volevo fare così e così è riuscito. A volte ci sono anche goal più spettacolari come un tiro al volo di sinistro, perché poi qualche minuto prima feci un goal bellissimo proprio al volo e di sinistro e capisco che al tifoso possa piacere più quello però per me il secondo, il pallonetto, senza far rimbalzare il pallone, con quel cross che veniva da lontano da parte di Ghedin beh, che dirti, è stato per me un goal voluto e ricercato proprio in quella maniera e per me è stato bellissimo proprio per questo.

Fonte: www.corriere.it / www.laziostory.it
Anche se per me, Bruno, quello più bello è quello che tu facesti a Catania, d’esterno. Solo Diego, tu ed io avremmo potuto fare un goal come quello di Catania.
Ahahah, hai ragione, solo noi! In realtà quello fu bellissimo ma è un tiro, un gesto tecnico, che può fare chiunque, può essere il goal …della domenica. In quello alla Juve c’erano l’idea, il pensiero, la raffinatezza.
Campionato 1978/1979: la definitiva consacrazione e capocannoniere con diciannove goal e l’esordio nazionale.
Sì, esordii nel 1978 a Roma contro la Spagna e vincemmo 1-0 con un gol di Paolino Rossi e chiaramente esordire in nazionale a ventidue anni fu qualcosa di fantastico, poi davanti al mio pubblico contro una squadra importante come la Spagna è stato un qualcosa di veramente bello.
La vita, diceva Battisti, è fatta di discese ardite e di risalite, il calcio ti ha dato tanto ma ti ha anche fatto affrontare discese difficilissime, una su tutte la squalifica. Parlami di quella tua grande risalita in cui sei voluto restare in B con la Lazio e l’hai riportata in A come capocannoniere del campionato.
Sì, ho avuto questa squalifica di due anni e ancora oggi dopo cinquant’anni non riesco a capire come sia arrivata perché io non avevo fatto assolutamente nulla, dico davvero Ercole, lo ripeto sempre lo sai, non avevo fatto niente. Oggi sarebbe stato tutto molto più approfondito, sarebbe stata molto più ampia la disamina dell’intera vicenda e non ci sarebbe stata nessuna squalifica perché sarebbe stato accertato che non ho commesso nessun illecito. A quei tempi andò così e chiaramente ci ho rimesso tantissimo, due anni di squalifica ma soprattutto ci ho rimesso il Mondiale del 1982 perché io facevo parte della Nazionale e quella squalifica mi tolse la possibilità di diventare Campione del Mondo. Restai con la Lazio perché era giusto così, riportammo la squadra in A il primo anno, subito, e poi rimasi altri due anni ma obiettivamente non c’erano più le condizioni per continuare perché la Lazio a livello societario era allo sbando e Lionello ed io andammo via anche al fine di far entrare denaro nelle casse della società e risanarla.
Un altro momento molto duro della tua carriera è stato l’infortunio tremendo a firma Bogoni, nel 1983, ma anche in quell’occasione hai dimostrato come la forza dell’uomo era quantomeno pari a quella del calciatore e rientrasti in campo dopo quattro mesi dalla frattura e dopo trenta secondi facesti un goal al volo di sinistro proprio sotto la “Nord”.
Sì, sì, tutto vero e ti aggiungo proprio contro il Napoli. Ma vedi, un calciatore soprattutto un attaccante mette in preventivo di avere un infortunio più o meno grave ma per la mia carriera non avevo messo in preventivo una squalifica di due anni senza aver fatto assolutamente niente ed è questo che come sai, a distanza di quasi cinquant’anni, ripeto, mi dà ancora fastidio e mi fà ancora molto male. Quando ne parlo mi fà veramente arrabbiare, se avessi fatto un qualcosa l’avrei giustamente pagata ma quando non fai niente e per due anni non puoi giocare rischi di impazzire e senti addosso tutta l’ingiustizia.
Avresti potuto lasciare, come ci siamo detti tante volte, la Lazio in più occasioni (le famose offerte della Juve e della Roma tanto per citarne due), ma a volte per scelta e a volte a furor di popolo alla fine sei sempre rimasto in biancoceleste fino al 1985. In quell’estate però, come tutti i grandissimi amori, anche la tua storia con Lazio finì e scegliesti Napoli. Perché e come?
Scelsi Napoli perché prima di tutto avevo capito che la società mi voleva vendere per rientrare dei soldi e Giorgio un giorno mi chiamò a casa sua a Piazza di Spagna e mi disse che ero stato venduto alla Roma e io gli dissi che con tutto il rispetto ma io alla Roma non sarei mai andato. Lui replicò che la Roma avrebbe dato tantissimi soldi e che la società era in serie difficoltà economiche ma io replicai fermamente dicendo a Giorgio che non poteva chiedermi di andare alla Roma e che mi sarei fatto sentire presto appena avevo il nome di un’altra squadra in cui andare. Da lì a poco venne fuori il Napoli perché nel frattempo il Napoli aveva preso Italo Allodi che è il numero uno in assoluto dei dirigenti italiani da sempre e avevo avuto già con lui altri rapporti e quando lui andò a Napoli mi chiamò con la spinta anche di Diego e mi propose di andare con loro. Ricordo ancora che, mentre ero con lui mi passò Diego al telefono che cercava di convincermi ed io lo interruppi subito rassicurandogli che avevo già firmato cinque minuti prima e che ero felice di giocare con lui. L’anno prima, in un Lazio-Napoli, c’era Diego che, quando capitavano nella stessa zona del campo mi diceva che l’anno successivo voleva andassi a giocare con il suo Napoli quindi era già un po’ scritto tutto nel destino. Il mio valore all’epoca era di quattro miliardi e mezzo, in realtà ne valevo circa nove ma la situazione della squadra, la gravissima situazione debitoria della società e la fretta di dover sistemate subito le casse della Lazio fecero sì che la mia valutazione in fretta e furia si cristallizzasse sui quattro miliardi e mezzo ma ricordo perfettamente che Allodi da gran signore quale era, consapevole del mio reale valore e delle difficoltà di bilancio della Lazio, sborsò cinque miliardi e mi portò subito a Napoli.
Nella nuova fase della tua carriera agonistica alle pendici del Vesuvio costituisci il famoso tridente “MaGiCa” (prima con Maradona e Carnevale, poi con Maradona e Careca) e nel 1986/87 vinci scudetto e coppa Italia. Com’è stato il tuo rapporto con Napoli? Ricordo che Giampiero Galeazzi in un San Paolo trionfante ti porge il microfono e tu dedichi, guardando in cielo, a tua madre lo scudetto.
Quella cosa mi è rimasta dentro (ndrancora occhi lucidissimi di Bruno) perché era il 10 maggio del 1987 e quel giorno era la festa della mamma e mia madre era morta qualche mese prima in un incidente stradale per cui il mio obbiettivo era quello proprio di poter fare qualcosa di grande e di dedicarlo a lei. Per fortuna e anche per bravura siamo riusciti a vincere quel campionato e il mio pensiero è andato direttamente a lei e quel giorno ci siamo goduti da dentro lo stadio, tutta la gente festante per il primo scudetto, una cosa che Napoli non aveva mai provato e fu qualcosa che a distanza di tanti anni ancora il popolo napoletano ricorda perfettamente. Ho un rapporto con Napoli e la sua gente meraviglioso fin dal primo giorno perché quando arrivai a Napoli venivo da una stagione non proprio esaltante e c’erano dei dubbi su di me ma appena arrivai a Piazza Dei Martiri c’erano cinque/seimila persone ad aspettarmi e scattò immediatamente il feeling che durò per sempre e dura ancora oggi.
Nel profilo del tuo WhatsApp hai la foto abbracciato a Diego Armando Maradona che testimonia una grandissima amicizia. Dal punto di vista calcistico ti ha definito il più forte calciatore italiano con cui abbia giocato. Parlarmi del tuo rapporto umano e calcistico con Diego.
Il rapporto con Diego è stato qualcosa di sensazionale e posso dirti che quello che mi ha tolto la squalifica me l’ha ridato la vita facendomi conoscere Diego e giocare con lui. Avrei preferito tutte e due le cose ma sai come è andata. Con Diego il rapporto iniziò già nel 1979 durante Italia-Argentina all’Olimpico e a fine partita lui mi chiese dove potesse andare a mangiare qualcosa di buono e poi a ballare. Gli indicai ristorante e discoteca e poi lo raggiunsi e nacque il nostro rapporto che poi negli anni è si è trasformato in un’amicizia fraterna. Quando mi infortunai seriamente, come ricordavi prima, il primo telegramma che arrivò alla clinica Bocconi fu proprio quello di Diego che spese parole incoraggianti e di vera amicizia per me. Voleva che mi rimettessi presto e che andassi a giocare con lui nel Barcellona. Capisci che appena mi si è poi presentata l’occasione, anni dopo, l’ho accettata al volo e sono corso a Napoli. Diego è stata una persona generosa, una persona che non faceva pesare il suo status ed io sono felice di essermelo goduto fino all’ultimo prima che lo blindassero e mostrassero di lui un’immagine non veritiera, non reale per quello che è stato nella vita e nello sport. L’immagine di una persona malata, deformata ma Diego è stato tutt’altro, Diego è stato generosità, amore, fratellanza, energia, classe, forza, carattere, brillantezza; Diego amava la vita e stare con la gente. Andavo a trovarlo spesso a Dubai e stavamo molto insieme quando veniva a Roma, stava a casa mia, si scherzava, si rideva, era sempre allegro e disponibile. Anche con le nostre famiglie il rapporto era stretto e con i suoi figli ancora mi sento.

Diego e la Ferrari che ti prestò.
Ahahah, me lo chiedi sempre. Non avevo la mia macchina perché una l’avevo lasciata a Roma e l’altra l’avevo portata a fare il tagliando e Diego aveva due Ferrari, una rossa e una nera e mi prestò quella rossa. Mi recai a via Petrarca a prendere il solito caffè dal solito amico e in soli cinque minuti ma neanche, forse tre o quattro minuti, si creò una fila impressionante di persone che arrivò a formare una coda di circa un chilometro. In tre o quattro minuti, capito? Pensavano fosse Maradona in quel bar che presero d’assalto e dovetti alzarmi, scappare via e riportare la Ferrari a Diego; era davvero ingestibile la situazione. Vedi, quando Diego diceva che usciva di sera e di notte era vero perché durante il giorno era assediato e non riusciva a fare un passo senza che le persone, tutte, di tutte le età, cercassero di toccarlo, abbracciarlo, fare una foto. A lui mancava la possibilità di camminare per Napoli tranquillamente e prendere un gelato con i figli. Da quando aveva l’età di sedici anni era rinchiuso negli alberghi, non poteva scendere per strada, mi ricordo tante volte insieme con lui il sabato con la squadra che andava in ritiro anche in altre città per la partita della domenica che se varcava l’uscio dell’hotel dopo cinque minuti doveva rientrare nella hall scortato.
Il calcio è cambiato tanto, oggi è quasi un altro sport rispetto ai tuoi tempi, quando i difensori picchiavano sul serio (vero Gigi?) e adesso ci sono trenta telecamere, il VAR, il fuorigioco “semiautomatico”. Stavamo meglio quando stavamo peggio?
Sicuramente era un altro sport, un altro gioco ed io dico che il VAR poteva aiutare su due o tre situazioni, non su tutto, il VAR non può arbitrare; poteva essere perfetto per il goal ed indicare se la palla è entrata o non è entrata, se il fallo è stato fatto all’interno dell’area di rigore o meno, se c’è uno scambio di una persona o una gomitata che l’arbitro non vede e se il goal è o non è in fuorigioco ma non può e non deve entrare su un pestone, su una spallata perché un conto è stare in mezzo al campo a quella velocità e un conto è stare seduti su una poltrona e vedere una partita. Poteva aiutare su queste tre o quattro cose e sarebbe stato perfetto e a me sarebbe piaciuto giocare oggi perché oggi non si prendono calci, i calciatori cadono due volte a partita prima non erano tutelati gli attaccanti, pensa a quanti goal avrebbero fatto oggi Diego o Riva!
E Giordano!
Ahahah e sì, pure Giordano!
A dispetto di tutti i pronostici, la Lazio si sta giocando un posto in Champions League con Roma e Juve: un pronostico su chi la spunterà alla fine.
Adesso è tutto nelle mani della Juve però ci sta tutto perché abbiamo visto l’altro giorno che il Napoli ha pareggiato in casa con il Genoa quindi tutto può ancora succedere. Mi auguro, a differenza tua ahahaha che possa essere la Lazio anche se purtroppo lo scontro diretto favorisce la Juventus; è stata una bella volata a tre però ad essere sincero vedo la Juventus un pochino prima di Lazio e Roma.
Scudetto al Napoli o all’Inter?
Sai per chi tifo!

Recentemente sono stati a cena da me dei carissimi amici che abbiamo in comune: Francesco Repice, Marco Lollobrigida, Guido Ugolotti, Renato Miele, Fortunato Torrisi ed un ragazzaccio di nome Ivo Stefanelli ed abbiamo parlato, tra l’altro, anche di te. Un aggettivo per ciascuno di loro.
Tutti grandi amici e persone bravissime. Francesco Repice è una grande macchina da guerra, non sbaglia niente è uno che sa di calcio, lo mastica bene lo racconta altrettanto bene non va dietro a quello che dicono gli altri ma dice quello che gli passa per la testa, è fantastico. Marco Lollobrigida è un grande professionista, un grande lavoratore, stiamo parlando di top a casa tua ahahah. Marco sa fare il suo lavoro ed io ho avuto la fortuna farci gli “Europei” e spero, a questo punto, di poterci fare il Mondiale il prossimo anno. Guido Ugolotti è stato un avversario soprattutto nei primi anni quando c’era questo settore giovanile tra Roma e Lazio di grande livello, eravamo su sponde opposte, noi avevamo Manfredonia. Di Chiara, Agostinelli, c’ero io, loro avevano Guido, D’Aversa, Sella, oltre a Bruno Conti, Agostino. Insomma, sia loro che noi eravamo forti e c’era una bella rivalità. Sì, sì, bravo pure Guido. Renato Miele è statala mia vittima per anni, pretendevo sempre troppo, forse, da lui e infatti ogni volta che lo vedo (ndr sono stato testimone almeno due volte) gli chiedo scusa perché poi rivedendo i difensori di oggi posso dire che giocherebbe titolare in qualsiasi squadra. Renato è un ragazzo veramente a modo, un ragazzo che dava tutto in campo, un marcatore arcigno eppure noi gli chiedevamo sempre di più. Fortunato Torrisi non esprimeva tutte le sue qualità la domenica perché ti assicuro che fino al sabato era un fenomeno, era un giocatore fantastico come stile, come modo di giocare sia di destro che di sinistro, di testa, corsa perfetta, oggi sarebbe un centrocampista moderno però forse sotto l’aspetto caratteriale pativa un po’ troppo la partita la domenica. Comunque, un talento che a voi vi ha pure fatto perdere un derby (ndr …e uno scudetto). Su Ivo Stefanelli potrei scrivere un libro, una famiglia fantastica nel cuore di Trastevere, sapessi quanta gente che non poteva mangiare ha sfamato il padre di Ivo che dava pizza, supplì e una birra e invece di portare il conto dava una pacca sulla spalla. Ancora oggi Trastevere porta tanto rispetto alla famiglia di Ivano.
Ma Ivo dice che capisce anche di calcio.
Ahahaha e tu faglielo credere ahahaha. A parte gli scherzi Ivo è stato tanti anni alla Roma, nel settore giovanile e ha fatto un grandissimo lavoro ottenendo risultati importanti.
E di Gigi Martini cosa mi dici? Oggi ci ha anche ospitato nel suo studio.
È meraviglioso qui, bellissimo. Gigi è stato uno dei “Senatori” che mi ha accolto quando ero piccolo e che non mi ha fatto mai pensare il fatto che era uno dei leaders insieme a Chinaglia, Pulici, Wilson, Re Cecconi di una squadra immensa. Alcuni ora non ci sono più e li ricordo con grandissimo affetto e forse fummo bravi anche noi giovani nel farci accettare da quei fenomeni.
Bruno Giordano o Roberto Bettega, ricorda che sono juventino, chi era più forte?
Eravamo diversi, potevamo giocare insieme, Bettega era un giocatore come me che poteva giocare con chiunque perché, quando sai giocare puoi giocare insieme anche se sei simile e noi avevamo anche caratteristiche diverse ed eravamo anche complementari. Mi fanno ridere però quando dicono che due che hanno lo stesso ruolo non possono coesistere, il problema è quando sei un caprone e due caproni non possono giocare a calcio insieme ma se sono due giocatori che sanno giocare gli spazi li trovano e sono guai per gli avversari non per loro. Bettega è stato uno dei grandi del calcio italiano anche lui un po’ sfortunato perché all’alba dei mondiali ha avuto problemi fisici e non ha potuto, come me, parteciparvi.
Bruno Giordano con Lionello Manfredonia a Scauri insieme a Michele Plastino, giornalista eccezionale. Che ricordi hai?
Scauri ha un mare splendido ed io poi amo il mare e l’ho apprezzato ancora di più quando poi sono andato a Napoli. È stato un bel periodo, bellissimo, tanti ricordi, ogni tanto ci passo quando vado da quelle parti e mi rilasso. Lì è vacanza vera, lontano dai problemi e dallo stress e …con quel mare! Michele è stato il pioniere del calcio notturno, dei racconti, dei filmati unici che ha solo lui. Hai detto bene prima tu, “un poeta del pallone”! Uno dei grandi del settore, si è sempre ispirato a Gianni Minà e non dico che sia ai livelli di Gianni Minà però, insomma, gli è molto vicino.

n.b.: la pubblicazione delle foto a corredo dell’articolo è stata autorizzata dall’intervistato.