Occhi verdi, luminosi e trasparenti come trasparenti sono la sua qualificata ed indiscutibile preparazione, il suo desiderio di meritocrazia nell’ambiente professionale e la sua grande sensibilità che ne fa una donna profonda oltre che istrionica. Innamoratissima del suo lavoro, per il quale ha dedicato un quarto di secolo allo studio serio ed approfondito, Lilli Manzini è nipote d’arte ed ha affiancato ad un innato talento naturale, la passione per la cinematografia ed il doppiaggio e grazie a sacrifici, rinunce, sudore ed impegno, è riuscita ad affermarsi in questo controverso mondo non solo come doppiatrice ma anche come direttrice del doppiaggio. Dinamica e determinata, Lilli ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui spicca il prestigioso Premio internazionale Vincenzo Crocitti, a coronamento di una carriera brillante nella quale non ha ceduto –per avere questo o quel doppiaggio- alle lusinghe del regista di turno ma ha combattuto e continua a combattere strenuamente e solo con la forza della sua squillante ed incantevole voce e  del suo valore artistico per avere quanto le compete di diritto.

Primo Aprile 2022, sono con Lilli Manzini.

Eccomi, sì sì, sono io, giuro che esisto, esisto per davvero e sono qui in carne ed ossa.

Bene, benissimo. Allora dimmi, chi è Lilli Manzini?

E’ una povera disgraziata “di pancia”, una donna molto affabile e abbastanza, dico abbastanza intelligente (non dico del tutto) altrimenti non avrei fatto tanti errori ma sono una donna che spera sempre nella redenzione umana. Certo, non mi chiamo Gesù Cristo, però ne seguo il filo logico diciamo.

Quindi sei religiosa?

Sì, sì, sono cattolica e pure praticante.

E che “personaggio” sei?

Come personaggio a sé stante. Una mia collega mi ha definita artistoide, un altro mio collega mi ha definito la donna dalle mille sfaccettature, un altro ancora mi ha definita la doppiatrice camaleontica. Poi col cacchio però che ti fanno lavorare, a meno che non sia proprio la “cliente” che ti cerca perché dice che quell’attrice l’hai doppiata bene e vuole che sia tu a ridoppiarla per una nuova produzione e allora ti richiamano.

Sei polemica verso il “tuo” ambiente professionale.

A fin di bene, cioè non è polemica per dire “rottura di palle”, perché io vengo da una scuola dove un grande maestro mi ha insegnato ad essere pulita a prescindere e mi riferisco a Cesarino Barbetti che ha suggellato proprio questa mia forma di anticonformismo nel doppiaggio. Lui era veramente il top di quei personaggi che possono essere anche scomodi. E quando mi si dice che sono un personaggio scomodo io ne vado anche fiera perché senza citare un detto di moltissimi anni fa (perché non mi appartiene), devo dire che effettivamente non era un detto sbagliato e che in certi contesti, come quello dello spettacolo e del doppiaggio (per esempio), calza a pennello.

Va beh non sei di destra si è capito.

Non ci capisco niente di politica ma poi tu pensi che esista la politica oggi? Mi reputo una persona che ama la verità, ama dire le cose per quelle che sono non seguendo una etichetta o un colore politico. Diciamo che sono come San Tommaso e che credo solo in quello che vedo.

Parli spesso di meritocrazia, questa famosa sconosciuta -a tuo dire- nel doppiaggio eppure, rispetto ad altri lavori, almeno un vantaggio lo avete nel senso che una donna può doppiarla solo una donna e un uomo solo un uomo quindi le ingerenze esterne si riducono del cinquanta per cento.

Sarà! A parte che esistono uomini che appaiono donne e viceversa ma trovare il modo di lavorare è sempre più difficile. Quando iniziai alla fine degli anni Settanta, erano sì e no quattro le società che si occupavano di questo settore oltre ad una delle più importanti sul territorio nazionale con la Fono Roma che aveva la sede proprio a Roma e che riprendeva un po’ tutte le  parti mixer e di sonorizzazione dei più grandi film di circuito che c’erano all’epoca e poi esisteva l’International Recording dove veramente c’era il meglio del meglio. Adesso sono ventisette le società, tremila i doppiatori e ci sono scuole che fioriscono ogni giorno. Non sempre i più bravi e quelli che davvero hanno studiato trovano spazio perché a volte sono altri i fattori che ti portano a lavorare.

Scusami Lilli, ma scuole e corsi di perfezionamento dovrebbero portare ad una migliore selezione e alla scelta dei più bravi, non trovi?

Innanzi tutto si deve avere un talento personale, perché i corsi ti aiutano a perfezionare un talento che tu hai già innato e quindi comprendi bene che se non hai doti naturali le scuole servono davvero a poco. Poi rispetto a quando iniziai io, sono cambiati i tipi di lavorazione, di insegnamento e perfezionamento e si bada, purtroppo,  più alla tecnica che alla qualità, anche perché un’attrice o un attore moderno di adesso che sia francese, spagnolo, inglese o americano, non può recitare come faceva un Jack Lemmon. E’ tutto eccessivamente modernizzato, è tutto più veloce; vogliono che finisci i film in pochissimi turni e non si bada più tanto ai dettagli ma si va di pari passo con la velocità della vita e questo non rende un buon servizio. Anche l’aspetto economico è cambiato, non esistono più le categorie che avevano la loro indiscutibile valenza. Si è velocizzato il prodotto a scapito della qualità. Io ho studiato venticinque anni con i più grandi maestri, ho fatto una formazione lunga e seria, oggi dopo un corso arrivi a doppiare molte volte … senza meriti.

Ma se uno è bravo è bravo però, tu per esempio sei nota nell’ambiente per il tuo valore ed hai ricevuto anche un prestigioso riconoscimento.

Sono onorata di avere ricevuto il premio “Vincenzo Crocitti” (che è un premio internazionale ndr), come migliore attrice, doppiatrice, direttrice di doppiaggio ma questo non sposta di una virgola le criticità di cui ti ho parlato.

Chi sono per te “i fari” del doppiaggio che hanno fatto scuola e ai quali ti sei ispirata?

Rosetta Calavetta, Wanda Tettoni, Stefano Sibaldi, Carletto Romano sono Dei nel mondo del doppiaggio e  sono solo alcuni dei nomi più importanti della storia del doppiaggio.

E tuo nonno, Arturo Dominici, dove lo collochi?

Mio nonno era un primo attore ma era anche un attore che  potevi sentirlo sia in una piccola parte come in tutto il film. Era la voce di Jean Gabin e di Martin Balsam ma è stato anche voce di tantissimi altri attori. Veniva da una cultura di élite e ha lavorato con Totò, con Elio Petri e con Romolo Valli tanto per farti capire. Un grande davvero!

Ritorniamo ai giorni nostri, ma è davvero così difficile lavorare?

Sì, te lo ripeto, diventa sempre più difficile ed estenuante e non sempre la professionalità e la cura del dettaglio pagano. Devi spingere e combattere per importi ed avere una parte che ti si addice tranne che non scegli di accontentarti dei tuoi quaranta o cinquanta turni al mese, guadagnando un sacco di soldi e facendo solo cose che non portano a nulla. Per chi ha studiato duramente e si è perfezionato, questo è mortificante. Per questo cerco sempre di avvalermi delle mie capacità recitative come del resto ho sempre fatto. Ho una voce, per doti naturali e per studi, che la puoi mettere sia sui caratteri sia sulle parti drammatiche o anche nelle commedie insomma abbastanza versatile e vorrei che tornasse nel nostro lavoro la meritocrazia. Poi vabbeh c’è il famoso detto “ma non si può piacere a tutti” ma la qualità dovrebbe essere privilegiata. A volte sento delle voci inascoltabili poi magari qualche collega che leggerà questa intervista penserà che non è vero e mi darà giù ma la verità è quella che ti racconto io senza peli sulla lingua. Io sono un’amante del vintage e della cultura della recitazione degli anni ‘40, ‘50 e ‘60 oltre ad essere una cultrice ed una estimatrice del neorealismo  e considero Giuseppe Rinaldi il Re del doppiaggio, Rosetta Calabretta la Regina, Emilio Cigoli l’Imperatore e Lydia Simoneschi e Tina Lattanzi le Imperatrici.

E la Manzini dove me la metti?

La Manzini scrivi pure che è la “cortigiana” del doppiaggio che però non l’ha mai data a nessuno ahahah.

Sei stata catapultata a forza nel mondo dello spettacolo e del doppiaggio, visto che sei una nipote d’arte o invece avevi proprio nel tuo bagaglio genetico questa passione?

Nonno Arturo e zia Germana hanno indubbiamente influito perché se non fosse stato per loro non avrei mai conosciuto la magnificenza della cinematografia però evidentemente c’era nel bagaglio personale un innato talento in questo campo che ho affinato con lo studio. Pensa, Ercole, che io a sette, otto anni già conoscevo una buona parte delle opere di Pirandello.

Il tuo pregio professionale più significativo?

Beh diciamo che ho orecchio, che studio e ristudio il personaggio che devo doppiare e che riesco a farlo “mio”. Però questa è una cosa che per noi attori, e parlo in generale, è brutto perché è una sofferenza atroce “immedesimarsi” completamente nel personaggio, perché si finisce per soffrire, commuoversi e star male per davvero se queste sono le caratteristiche dell’attore che doppi e che interpreti ed una “di pancia” come me somatizza abbastanza. 

Insomma, oltre al grande talento la Manzini ha anche grande sensibilità, che inevitabilmente “trasfonde” anche nel suo lavoro.

Beh io sono una “fregnona” (nel vero senso della parola) che si commuove anche se vede quei due ragazzini lì di sedici anni  (a pochi passi da noi ndr) che si baciano, quindi porto “in scena”, per così dire, anche  i sentimenti del personaggio che interpreto e non c’è niente di più bello che trasportare in scena o sul grande schermo la vita reale di tutti i giorni, che è quello che fanno anche i registi. Ecco perché adoro il regista in genere, come adoro il soggettista perché il soggettista e se sono la medesima persona è ancora meglio, sono quelli che hanno il ruolo più importante in una lavorazione cinematografica, perché ci mettono proprio tutto l’amore, tutto l’essere sé stessi, tutto quello che scaturisce dalla realtà ed ecco perché ti ho parlato prima del mio amore per il neorealismo, perché il neorealismo è verità.

A scuola amavi anche  Verga e il suo “verismo”?

Sì, però era troppo melenso per i miei gusti. Io amo profondamente Oscar Wilde perché era anticonformista come me. Sono trasgressiva, sono una persona che non ha paura di mettersi in gioco, però ha paura, cioè no, paura no, diciamo che temo la cattiveria di chi non ti comprende perché ho fatto tanto del bene e non ne ho ricavato altrettanto ma spesso ho raccolto del becero opportunismo e abbandono, ecco molto abbandono.

Consigli per un giovane che vuole fare il doppiatore ne hai?

Siamo in tempi dove anche nel doppiaggio tu non puoi rifinire tutto. Io ho sempre detto a chi si affacciava in questo straordinario (e per certi versi balordo) campo – i neofiti insomma – che quando hanno il copione davanti non è ciò che è scritto, nero su bianco, che devono  temere. Devono pensare che quelle sono le bollette della luce, del gas, l’affitto, la rata della macchina e l’assicurazione. Devono studiare e lavorare sodo, immedesimarsi nel personaggio, tirare fuori la cazzimma che è in loro, farla uscire fuori per imporsi e lavorare.  “Dovete rispettare”, dico sempre ai più giovani, “la vostra arte intrinseca; dovete far esplodere il  modo recitativo che è in voi, altrimenti non siete credibili”. E poi serve umiltà nel nostro lavoro. Io ho vinto un premio internazionale e certamente non è che vincere ti apre sempre le porte del lavoro eppure vorrei ricordare che si tratta di un premio equiparato dalla Rai e da Mediaset al David di Donatello e al Nastro d’Argento.

Quali e quanti sono i sacrifici che hai fatto nel tuo percorso?

Te l’ho detto, tanta passione e tanto studio ma il sacrificio più grande è stato quello di rientrare in questo mondo dopo tredici anni di stop in cui avevo fatto altro. Capirai: ti fanno fuori già se manchi tre mesi, pensa se stai fuori per un periodo così lungo ma alla fine sono rientrata nel circuito tra l’apprezzamento di quanti mi vogliono bene e anche tra le invidie di altri. Il  vero sacrificio è stato quello di sentirmi umiliata, scavalcata da ragazzini e ragazzine di venticinque o trenta anni che non avevano le mie esperienze e, perché no, il mio talento ma solo raccomandazioni. Poi anche tra i raccomandati ci sono differenze, ci sono quelli di classe e chi poi ci sono i leccaculo ed io a questi ultimi regalerei “il leccaculo d’oro” (come quello che ti ho fatto vedere nel video ahahah). Poi ci sono i raccomandati semplici, quelli che non fanno trapelare troppo di essere raccomandati. Allora io, che sono contro l’ignoranza, ti dico che il sacrificio più grande che ho fatto è stato quello di rimettermi in gioco dopo tredici anni e di dover combattere ancora oggi in nome della meritocrazia. Ho ripreso con calma, facendo l’assistente al doppiaggio, per riallenare l’orecchio e sono riuscita fuori ma è stata ed è ancora dura.

Tu non conosci ovviamente tutti i personaggi che ha doppiato?

Ma no, assolutamente, con alcuni ci parlo con messenger o con instagram, anche se conoscerli dal punto di vista umano, sarebbe utile anche per il doppiaggio ma una vita così estenuante e la celerità dei tempi che viviamo oggi neanche lo consentirebbero.

Qual è la tecnica che usi nel doppiaggio?

Quella che mi ha insegnato Giuseppe Rinaldi, cercare di “immedesimarsi”  e non semplicemente “calarsi” nel personaggio che è molto diverso credimi!

Qual è l’attrice che hai doppiato e che ti ha maggiormente gratificato e qual è quella invece per la quale hai provato maggiori difficoltà nel doppiare?

Forse penserai che sono presuntuosa ma ti dico che non ho mai avuto difficoltà a doppiare le mie attrici, perché a costo di ripetere “l’anello più volte”, riesco sempre a doppiare secondo le mie capacità e le “mie corde”. Quella che mi ha dato maggiori soddisfazioni doppiare è stata Natasha Demetriou la protagonista di “what we do in the shadows”.

In ultimo ma non per ultimo, cosa farai da grande?

La bambina.

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