Di Carlo: grande mister con il cuore da mediano

Domenico Di Carlo, quarantuno anni da Cassino, è alto un metro e settantanove per settantatré chili di peso. E’ l’allenatore rivelazione dell’anno calcistico appena concluso e potrebbe confermarsi a livelli lusinghieri anche nel prossimo campionato, viste le aspettative della dirigenza del Mantova, che ha condotto brillantemente in serie B, dopo una cavalcata irresistibile durata nove mesi e viste, soprattutto, le sue grandi qualità umane e professionali, che ne hanno fatto uno degli allenatori del momento. Nel calcio moderno, forse ancora più che in quello passato, non si diventa Platini se non si hanno al fianco “predatori” come Furino e Bonini; non si diventa Maradona se non ci sono Crippa e Bagni né tanto meno Zidane senza l’apporto di Deschamps e di Conte. Ecco, Di Carlo è uno alla Furino, alla Conte, alla Crippa; di lui non si ricordano goals in sforbiciata o dopo due tunnel di seguito all’avversario di turno ma si ricordano pedalate continue e generose in mezzo al campo, il piglio del leader che sprona i compagni e la forza del combattente che non molla davvero mai. A pensarci bene, poi, si ricorda anche qualche goals in mischia, su calcio d’angolo, quei goals fatti, insomma, più col cuore che col gesto tecnico. Il buon Domenico ha iniziato la carriera ad appena sedici anni, nella sua città, Cassino, in serie C2 ed è diventato titolare della squadra l’anno successivo, in serie D, prima di passare in C1 al Treviso, di essere ceduto temporaneamente al Como in serie B, di far ritorno a Treviso in C1 e di essere ceduto alla Ternana in serie C2. Quindi, dopo aver girovagato per la serie B e C, il passaggio nel 1987 al Palermo e il trasferimento, quattro anni più tardi, al Vicenza che militava in serie C e con la quale si è tolto grandissime soddisfazioni raggiungendo la serie A e divenendone il capitano e uno dei punti fermi. A fine carriera, dopo aver alzato in cielo, con il suo Vicenza, la Coppa Italia, conquistata a trentatré anni suonati e aver disputato, da capitano, la semifinale di Coppa delle Coppe contro il Chelsea, Mimmo, così soprannominato affettuosamente dai ragazzi della curva, emigra a Lecce, con il suo contributo di esperienza e di serietà, dove vive la sua ultima stagione da calciatore professionista. Nel 2002-2003 gli viene affidata la panchina della Primavera del Vicenza che conduce con buoni risultati, prima di cederla all’amico Fabio Viviani, compagno di tante battaglie nel centrocampo del Vicenza e di correre ad allenare il Mantova che fa salire, in due anni, dalla C2 alla serie B. Il resto è storia dei giorni nostri: un allenatore serio e determinato, leale e vincente, dotato di ottime doti morali e laureatosi recentemente al corso di Coverciano, la “Bocconi” del calcio.

A che età e in che ruolo hai iniziato a giocare?

Fin da bambino mi sono innamorato del pallone, poi a sedici anni ho iniziato a giocare con il Cassino, la squadra della mia città e di lì si può dire che è iniziata la mia carriera.

Per quale squadra tifi?

Inter.

Fai il nome del giocatore più bravo con il quale hai giocato e del più forte avversario che hai incontrato.

Ambrosini, del Milan, è il compagno di squadra più bravo con il quale ho giocato ed infatti è arrivato a giocare e vincere con una delle più forti squadre del mondo mentre Zinedine Zidane è l’avversario più forte contro il quale ho giocato. Davvero un fenomeno, impressionante per la capacità di proteggere il pallone e di creare gioco.

Il calcio, per te, è ancora una palestra di vita?

Tutti i lavori sono palestre di vita perché ti permettono di vivere e confrontarti con gli altri e anche il calcio è una palestra di vita perché insegna valori fondamentali nella vita di un uomo quali la competizione, la lealtà, l’agonismo, il rispetto delle regole, l’appartenenza ad un gruppo.

A proposito di regole, che mi dici di doping amministrativo e farmaceutico?

Che sono cose che dovrebbero rimanere fuori dal calcio ma che non sono comunque così diffuse come taluni vorrebbero far credere. In un mondo grande come quello del calcio possono esserci persone che sbagliano ma non si può condannare un intero movimento solo per poche persone che contravvengono alle regole. Bisogna perseguire in maniera severa chi sbaglia, a tutela di quello che per me rimane il più bel gioco e che coinvolge milioni di praticanti e di tifosi nel mondo.

Quando hai deciso di fare l’allenatore?

Ai tempi in cui giocavo con il Palermo. Rumignani mi cedette la fascia di capitano ed io trovai affascinante guidare in campo la squadra secondo i criteri e le indicazioni dell’allenatore. Con il Vicenza la storia si è ripetuta e mi sono convinto ad intraprendere questa attività che mi consente di essere tra i giovani e di insegnare loro ciò che ho imparato in tanti anni di carriera. Ho iniziato a fare l’allenatore della primavera del Vicenza e poi sono passato al Mantova.

Sei un allenatore a zona o a uomo?

Assolutamente a zona.

Se dovessi scegliere un’immagine, da incorniciare dietro la tua scrivania, quale simbolo della tua carriera, quale sceglieresti?

Sono tanti i momenti belli che il calcio mi ha regalato ma tra tutti credo che la vittoria della coppa Italia con il Vicenza sia stato il momento più gratificante e più importante della mia carriera. Alzare al cielo la coppa, davanti ai tifosi del Vicenza festanti, è un ricordo che porterò sempre con me.

Cosa prometti ai tifosi del Mantova?

Impegno, serietà, lavoro, sudore e la certezza di uscire da tutti i campi d’Italia con la testa sempre alta, consapevoli di aver dato sempre il massimo.

Come ti trovi a Mantova?

Molto bene, la città è bella, la società ha ambizioni, i giocatori sono professionisti seri e la tifoseria è calda e appassionata.

Hai appena concluso a Coverciano il supercorso. Emozioni e considerazioni.

Ambiente bellissimo ed esperienza positivissima. Ho trovato utilissimo confrontarmi con colleghi di categorie superiori ed inferiori perché ognuno mi ha lasciato dentro qualcosa di importante che mi servirà nel corso della carriera. Ho appreso tecniche e metodologie che mi erano sconosciute e che saranno per me fondamentali. Vorrei poi fare i complimenti più sinceri ai docenti che sono stati straordinari sia professionalmente che umanamente.

Di  Carlo,  Giannichedda,  Pecchia,  Altobelli, Carnevale, Brunner, Lotti, Serao, Trovò, Faccenda, Policano, Fava e tanti altri, i campioni che sono nati o hanno giocato nella nostra zona. Perché non è stato mai possibile, con tutti questi campioni della nostra terra, formare una squadra a metà tra il Lazio e la Campania, in grado di giocare ad alti livelli?

Perché forse sono mancati gli imprenditori, coloro che dovevano investire per sostenere le spese per la gestione di una squadra di livello. Devo dire, però, che sono rimasto molto impressionato dal Frosinone, che ho recentemente incontrato con il Mantova, per la forza della squadra e per l’efficienza della società. Credo che proprio il Frosinone possa fare il salto di qualità che merita ed occupare un posto di rilievo in una zona ricca da sempre di talenti. Seguo sempre con interesse le sorti del mio Cassino, del Frosinone, del Formia, del Gaeta, speranzoso che un giorno possano giocare in categorie più importanti.

Cosa pensi di quei giovani, coetanei dei giocatori che alleni, che si trovano in uniforme in giro per il mondo in nome della libertà e della democrazia?

Che sono persone splendide, perché non ci sono valori più importanti nella vita della democrazia e della libertà e loro lavorano e si impegnano per questi valori, mettendo a repentaglio anche la loro vita.

Se ti dico “una vita da mediano”, a cosa pensi?

Alla mia vita e alla canzone del grande Ligabue, che è diventato il mio cantante preferito.

Pubblicato sul “Corriere del Sud Lazio” n. 29 del 2005

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