Il nonno era un famoso magistrato cassazionista ed il padre un famoso avvocato cassazionista, lui, Renato Miele, oggi arzillo sessantatreenne, era un giovane ragazzo della Roma bene, alto, slanciato e con gli occhi –di cui ancora oggi va fiero– celest…issimi. Celesti come la maglia della Lazio con la quale ha giocato prima in serie B e poi in serie A, al fianco di tali Giordano, Manfredonia, Laudrup e Batista tanto per fare qualche nome e … scusate se è poco! Deve essergli piaciuta davvero tanto la zona Prati di Roma se è vero, come è vero, che attaccati gli scarpini al chiodo lo stopper biancoazzurro ha messo a frutto  la sua laurea in giurisprudenza ed ha ottenuto l’abilitazione forense grazie alla quale, codice penale nella sua ventiquatt’ore (perché Renato è un avvocato vintage e non un avvocato “moderno” con zainetto in spalla e palmare dell’ultima ora), varca i Palazzi di giustizia della Capitale e, testardo come era in campo, difende dinanzi alla Suprema Corte il cliente di turno dallo truffa, lo spaccio o la reclusione. Oggi abbiamo fatto colazione in modo diverso da come abitualmente la facciamo ed abbiamo acceso il mio microfono per parlare del Renato Miele in calzoncini corti e di quello con la toga e ne è uscito un racconto a tratti anche commovente.  

Dallo Stadio Olimpico di Roma alla Corte Suprema di cassazione, in fondo in tre chilometri è racchiusa tutta la tua storia.

Si, c’è tutta la mia storia che nasce ovviamente dai campetti di calcio di periferia fino ad arrivare a giocare in serie A con la squadra della mia città e contemporaneamente a raggiungere la laurea in giurisprudenza proprio nell’anno in cui militavo con la Lazio in A ed oggi con soddisfazione, a distanza di anni, mi ritrovo ad essere anche un avvocato cassazionista e quindi i chilometri si sono accorciati rispetto a tanti anni fa.

Quando hai capito che il pallone non era più un gioco per te ma era diventato il calcio ovvero la tua professione?

Nel momento in cui a circa diciotto anni sono arrivato alla primavera della Lazio ho iniziato ad assaporare che poteva realizzarsi questa cosa e quando la Lazio mi diede in prestito al Brindisi compresi che si stava davvero realizzando quella che era una ipotesi/sogno. E’ ovvio che come tutti i ragazzi di quella età l’ambizione ed il desiderio di sfondare nel calcio erano forti però mi era comunque sufficiente e soddisfacente essere entrato a quell’età nel mondo dei professionisti. Come primo anno di professionismo ho avuto delle esperienze particolari dal giocare nella Nazionale di serie C al non prendere lo stipendio per diversi mesi nella prima squadra professionistica ma fu comunque un’esperienza importante perché da giovane della primavera iniziai a diventare un professionista che doveva sottostare a delle regole e fare sacrifici per affrontare una carriera ai massimi livelli nel mondo del calcio.

Un flash, Renato. sulle varie squadre nelle quali hai giocato. 

Il Brindisi, come detto, è stato il mio trampolino di lancio grazie al quale sono stato inserito nel mondo professionistico e mi ha permesso di avere la fortuna di poter partecipare a dei raduni della Nazionale di serie C e di giocare con la maglia azzurra in Bulgaria e questo ha rilevato il mio livello calcistico e mi ha consacrato calciatore. Sono poi rientrato alla Lazio alla scadenza del prestito e sono partito in ritiro con la prima squadra e gli stessi compagni hanno iniziato a vedermi con un occhio diverso e più consapevole ma a causa della molta concorrenza tra i difensori la società preferì darmi in comproprietà al Pisa da un lato per poter guadagnare qualche soldo e dall’altro per darmi la possibilità di giocare con una certa continuità  e confermare quanto di buono avevo fatto con il Brindisi. A Pisa c’era … un certo Romeo Anconetani come Presidente che seguiva tutti i giocatori giovani promettenti in tutto il territorio nazionale e che sapeva tutto, vizi e virtù, di ogni giovane promessa grazie ad un archivio davvero copioso e completo. Quando mi prese conosceva tutto di me, sia il mio valore tecnico che il mio profilo umano ed aveva attrezzato una squadra per vincere il campionato ed andare in serie B e questo mi lusingava perché credeva evidentemente molto in me. Così poi fu, il Pisa andò in B ed Anconetani fece il massimo per potermi tenere a Pisa e con il mio consenso riscattò l’altra metà dalla Lazio e restai in Toscana anche l’anno successivo. Giocai molto bene anche in serie B e molte grandi società, tra cui la Sampdoria, si interessarono a me ma purtroppo nessuna di queste  società  trovò l’accordo con il Pisa ed io fui mandato in comproprietà l’anno successivo alla Spal dove mi ambientai subito bene e giocai un altro ottimo campionato prima di subire un infortunio al menisco ed il relativo intervento chirurgico che a quei tempi era assolutamente diverso da come può essere oggi. La Spal infatti, in considerazione proprio dell’operazione subìta e dei dubbi circa una completa ripresa che potevano derivarne non riscattò l’altra metà della comproprietà e mi ritrovai ancora ad essere in mano al Pisa che non aveva più particolare interesse in me e mi cedette al Catania di Massimino, noto personaggio a quel tempo del calcio. Il Catania era una discreta squadra di serie B ed io giocai un buon campionato anche con la squadra siciliana e nonostante la società volesse a tutti i costi confermarmi io chiesi di potermi avvicinare a casa e fui dato in prestito alla Cavese con la quale mi allenai per un periodo ma decisi poi di non accettare il trasferimento. Mi ritrovai a quel punto ad allenarmi con la Lazio che era in serie B ed aveva l’esigenza di trovare un buon difensore perché la difesa balbettava e trovò utile propormi di firmare per loro.  Accettai di buon grado sia perché si trattava di una squadra di livello sia perché tornavo dopo tanto peregrinare nella mia città. Vincemmo il campionato e la Lazio tornò in serie A ed io scrissi delle belle pagine della mia carriera con la maglia biancoazzurra facendo parte della squadra per qualche anno e finendo per coronare il mio sogno. Poi ci furono vicissitudini societarie, rifiutai in seguito il trasferimento alla Cremonese e rimasi fermo un anno al minimo dello stipendio con la Lazio. Successivamente trovai una adeguata e gratificante sistemazione con la Triestina  che aveva allestito una grande squadra e mi fece parte del progetto. C’erano in squadra Bistazzoni, Romano, che ricorderai giocò anche con il Napoli di Maradona e con il Milan, c’era Iachini della Fiorentina, c’era il grande De Falco che era stato capocannoniere. Una grande squadra che a fine campionato fu penalizzata di un punto  -che risultò determinante- per una combine con un’altra squadra della quale si rese protagonista quando io ancora non facevo parte della rosa. Arrivammo a pari punti con l’Empoli ma proprio per quel punto di penalizzazione non salimmo in A e quelle che erano state le intese precedenti con la società andarono all’aria. Continuarono ad arrivarmi offerte buone, economicamente parlando, ma non avevo più gli stimoli giusti, avevo fatto una carriera abbastanza  positiva e a trent’anni decisi di smettere con il calcio giocato.

Chi era il mister?

Carosi. Poi ebbi anche Lovati e Morrone con la Lazio.

E il Presidente?

Giorgio Chinaglia.

Hai avuto Presidenti davvero con la “P” maiuscola, per un motivo o per un altro. Una parola, Renato, su ognuno di loro.

Beh si, Presidenti di un certo peso. Fanuzzi al Brindisi, un Presidente “bambino” messo a dirigere una squadra. Ragionava in effetti come un ragazzino perché era il padre che aveva portato a grossi livelli il Brindisi e aveva lasciato alla sua morte la squadra al figlio che però praticamente la utilizzava come un giocattolo personale. Poi c’è stato Anconetani, una persona speciale, con delle manifestazioni di grande curiosità per l’esterno perché erano delle esternazioni di grande sorpresa che non ti permettevano di comprendere quali finalità avessero e che erano a volte di grosso entusiasmo ed altre volte di grossa ira che comunque finirono per caratterizzarlo e renderlo un personaggio. Era molto attaccato alla cabala, al sale, a dei riti che ci faceva fare in ritiro, tutte manifestazioni particolari però che allo stesso tempo risultarono vincenti perché accompagnate comunque da una grande conoscenza del calcio e dell’ambiente. Passo a Massimino, imprenditore mancante di qualsiasi tipo di cultura, di consapevolezza di quelle che erano le regole del vivere umano ma che aveva però una grandissima capacità come imprenditore edile e che aveva trasferito queste sue piccole capacità, sia pure in un settore specifico e diverso, nel mondo del calcio e grazie a questa sua capacità è riuscito a galleggiare per molti anni ed a mantenere la sua squadra a grossi livelli. Sono famose le sue uscite anche sotto il profilo del linguaggio e della lingua italiana. Ed eccomi arrivato a parlarti di Giorgione. Un Presidente rimasto purtroppo con la mentalità del calciatore che ha gestito la Lazio come se ne fosse ancora il capitano e non il Presidente e quindi il massimo dirigente.  Questo è stato il suo debole che ha portato ad una cattiva gestione della squadra e quindi a grosse difficoltà manageriali anche se il primo anno di serie A rimanemmo in serie A salvandoci all’ultima giornata contro il Pisa. Ho avuto poi come Presidente a Trieste Da Re, un grandissimo imprenditore, quello che aveva inventato la pasta fissan, ricordi? Era un grandissimo signore, una persona perbene, che amava la sua squadra e si mostrava sempre gentile con tutti.

Da Ivo a Trastevere

La formazione della Lazio, a memoria, che ti viene subito in mente. Dai, puoi farcela!

Quella della B: Orsi, Saltarelli, Podavini, Vella, Miele, Spinozzi o Perrone, Ambu, Manfredonia, Giordano, D’Amico e De Nadai. Una squadra buona diventata molto forte con l’innesto di quei giocatori che erano stati riabilitati dal calcioscommesse con la “grazia” avvenuta per la vittoria della Coppa del Mondo da parte della nostra Nazionale. Vincemmo il campionato e salimmo in serie A.

Renato, ovunque andavi vincevi il campionato.

Ah ah ah si, è vero, è capitato molte volte e con squadre diverse.

La formazione della serie A.

Cacciatori, Saltarelli, Podavini, Vinazzani, Miele, Piscedda, Laudrup, Manfredonia, Giordano, Batista , D’Amico e poi Cupini, Piraccini, Filsetti e tutti gli altri.

Stravedo per Bruno Giordano.

Ogni epoca ha il suo tipo di giocatore, attaccante, campione però secondo me Bruno aveva  il pallone nel sangue, faceva delle cose istintivamente che non ho mai visto fare ad altri calciatori, compagni ed avversari. Bruno aveva tocchi veramente da genio e riusciva a fare delle cose in campo con assoluta naturalezza e si divertiva a giocare ed ogni volta che giocava era come per lui se si andava a giocare in parrocchia, faceva le stesse cose che avrebbe fatto all’Oratorio davanti ad ottantamila persone.

L’avversario più difficile che hai marcato?

La mia bestia nera era Aldo Serena perché riusciva a fare goal anche in condizioni di grandissima difficoltà ed aveva un’elevazione addirittura superiore al portiere con le mani alzate quindi era pericolosissimo con la testa. Era quello che pur marcandolo bene alla fine ti segnava sempre. Pensa che il mio esordio in serie A avvenne in un  Lazio Inter  ed il mister la mattina mi disse che avrei dovuto marcare proprio Serena che già in B tante gatte da pelare mi aveva dato. All’emozione dell’esordio in A si aggiunse la tensione di dovere marcare Aldo. Vincemmo tre a zero e Serena fu … sostituito da Muraro.

Renato Miele e i libri.

Mio nonno era magistrato, è stato prima il Presidente del Tribunale di Cassino e poi Consigliere della Suprema Corte di cassazione, mio padre era avvocato. In famiglia si respirava “aria” di studio ed io istintivamente decisi di occupare il tempo libero soprattutto nei ritiri con le squadre nelle quali giocavo -che non era poco- per leggere, studiare, approfondire. Conseguii la laurea in giurisprudenza, come sai, quando ancora ero calciatore e quando smisi con il calcio iniziai tutto l’iter previsto per arrivare a sostenere l’esame di avvocato che per la verità provai più volte fino a riuscire a spuntarla ed iniziare dunque una nuova carriera professionale che è quella che ancora oggi svolgo con impegno e soddisfazione. Avevo lo studio di mio padre ed iniziai questa avvincente e gratificante nuova avventura con il codice penale che sostituiva il pallone.

Renato ed io con l’Avvocato Massimo Garzilli, del Foro di Napoli

Calcio e cultura: l’idea, malsana, che il calciatore debba essere più o meno belloccio, fare allenamenti, avere il fisicaccio con tatuaggi e … pedalare. C’era e c’è qualche mosca bianca come te, Scoglio, Dossena, Liguori, Manfredonia, Pecchia, Chiellini e pochi altri. Il calciatore che studia era a quel tempo ed è oggi preso in giro dai compagni?

Beh, inevitabilmente differenze potevano uscire dal modo di affrontare un discorso, rispondere ad una intervista, approcciare con le persone. Bruno (Giordano ndr) scherzava e mi diceva sempre (anche alla nostra cena lo ha fatto eppure sono passati trent’anni) che parlavo come un libro stampato. Qualcuno scherzava qualcuno tentava di schernire ma comunque non ero il solo, tu hai ricordato alcuni colleghi ma io ti aggiungo il grande Boranga, Sirena, Campana, Ielpo, oggi avvocato anche lui a Milano, Nando Viola che aveva una cultura spaventosa e prima di morire in quel modo tragico stava prendendo la terza laurea. Con Nando, che era avvocato anche lui, facemmo anche del penale insieme, un bel ricordo. Studiare non impediva di allenarsi e giocare bene  anzi dava magari anche concentrazione ed io stimolato dalla cultura familiare e dalla voglia del sapere affiancavo alle attività ludiche anche un paio di ore al giorno sui libri che male, come vedi, non mi hanno fatto e che lo consiglio anche ai calciatori di oggi.

Campana. Tu hai fatto una grande cosa con lui nata dalla passione per il calcio ma inevitabilmente anche dalle reciproche conoscenze giuridiche. Parlamene.

Nasce dal campo, proprio nell’anno in cui smisi con la Triestina entrò in vigore lo svincolo dei calciatori ed io mi preoccupai del fatto che tanti di loro, svincolati, non avessero da quel momento in poi l’opportunità di continuare ad allenarsi e tenersi in forma nei ritiri estivi preparatori alla stagione agonistica. Pensando a questo proposi all’Associazione Italiana Calciatori di fare un ritiro organizzato appositamente per loro che su libera iscrizione potessero avere un impianto dove allenarsi e degli allenatori che li seguissero. Questa iniziativa fu apprezzata dall’AIC che era rappresentata, appunto, dall’avvocato Campana, che diede  il benestare e mise il proprio nome sull’iniziativa pur lasciando in evidenza che ero io l’ideatore. Questa iniziativa, che iniziò nel 1986 a Pomezia, ebbe un  successo enorme perché il primo allenatore fu De Sisti e i media, non solo nazionali, espressero un parere molto positivo. Io regalai il diritto d’autore all’Associazione Italiana Calciatori e ancora oggi, quella che fu una mia intuizione, è un punto di riferimento per molti calciatori che si trovano temporaneamente senza squadra.

Hai mai vestito la toga per difendere o rappresentare qualche tuo ex compagno di squadra? Se si, raccontami un episodio.

Si è capitato in alcune circostanze. Ti racconto quello di Spinozzi che quando era il “secondo” di Boskov a Perugia, in piena calciopoli, sentì l’esigenza di denunciare alcuni fatti che gli erano stati riportati da tesserati e quindi presentammo denunce di alcuni illeciti.

Tu cosa c’entri con Ustica?

Insieme a mio padre partecipai a questo grande Processo difendendo un Generale dei Servizi Segreti.

Calciatore -ruolo stopper- alto, biondo, slanciato, occhi celesti, benestante, di ottima famiglia e còlto. Devo farti la domanda o passi subito alla risposta?

Ah ah ah, sei tremendo, alla fine l’hai fatta. Allora, ti dico subito che la parola  “stopper” mi fa ricordare che nel calcio di una volta si marcava a uomo ed il fatto che fossi alto, biondo e con gli occhi azzurri mi fa riconoscere che spesso marcavo anche …a donna.

Ultima: Alessandro e Giorgia.

Due splendidi figli, i miei figli! ( e gli occhi diventano…più celesti e luccicanti).

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